Durante il periodo bellico, le forze partigiane operanti lungo il confine potevano fare affidamento sull'assistenza di cittadini svizzeri. Principalmente, erano individui che conoscevano bene la regione, impegnati a fornire tutto il supporto possibile ai partigiani.
A Brissago, in particolare, risiedeva Silvio Baccalà. Di giorno lavorava come giardiniere presso l'albergo sindacale Brenscino, ma di notte si metteva a disposizione dei partigiani e dei rifugiati, accompagnandoli attraverso i sentieri del Ghiridone fino alla Val Cannobina. Attraversare questa frontiera nel periodo tra il 1943 e il 1945 rappresentava un'impresa estremamente difficile e pericolosa. I rifugiati e i partigiani dovevano affrontare varie ostacoli, come recinzioni, posti di blocco e controlli di sicurezza. Si stima che il viaggio richiedesse in media almeno 10-12 ore. Molte di queste persone erano guidate da individui del luogo, come Silvio Baccalà, che avevano la conoscenza necessaria per attraversare tratti pericolosi come boschi e montagne.
Anche Vincenzo Martinetti, padre della cantante Nella Martinetti, faceva parte attivamente delle forze partigiane della Divisione Piave a Brissago. Egli divenne presto una figura chiave per la logistica e il trasporto di materiali, armi e persone attraverso il confine. Alla fine della guerra, venne decorato anche lui dalle formazioni partigiane. Non era l'unico cittadino ticinese a unirsi apertamente alla lotta dei partigiani. Lindo Meraldi, un altro abitante di Brissago, trascorse persino un breve periodo nelle carceri fasciste di Novara nel 1944, dopo essere stato catturato nell'Ossola.
Dalla vicina Ascona, Gottardo Bacchi, noto in seguito come lo "sceriffo" di Ascona, prese parte attivamente alle operazioni con i partigiani della Cannobina. Venne catturato dai tedeschi nell'estate del 1944 e trascorse anch'egli un breve periodo di prigionia a Milano. Nel dopoguerra, diventò un esercente ad Ascona e era spesso riconoscibile per il suo abbigliamento da cowboy, da cui derivava il soprannome di "sceriffo".
Considerata la posizione a ridosso del confine, Brissago era spesso coinvolto dalle vicende umane durante il periodo del conflitto. Come altri luoghi di confine, Brissago attraversò una prima crisi umanitaria nei giorni seguenti all'armistizio dell'8 settembre 1943, dichiarato dal Generale Pietro Badoglio. Numerosi soldati italiani, ex-prigionieri alleati precedentemente detenuti nel Nord Italia, e molte famiglie ebree si riversarono verso il confine, sfuggendo così alla cattura da parte delle forze tedesche e fasciste. Nel settembre del 1943, furono almeno 2-3 mila le persone che attraversarono Brissago.
L'occupazione nazista della regione a partire dalla metà di settembre 1943 portò Brissago a vivere momenti difficili. Il colonnello Antonio Bolzani, nel suo significativo lavoro "Oltre il confine", riporta diversi fatti legati a Brissago. Anche trovandosi in territorio svizzero, non sempre era garantita la sicurezza, dato che le truppe nazi-fasciste spesso aprirono il fuoco verso la zona di confine. Una seconda crisi umanitaria colpì Brissago a fine agosto e inizio settembre del 1944. Dopo una rappresaglia tedesca nel villaggio di Cannobio il 27 agosto 1944, in cui una trentina di adulti vennero deportati, la maggioranza degli abitanti di Cannobio e dei villaggi circostanti trovarono rifugio temporaneo proprio a Brissago. Un mese dopo, il 10 ottobre 1944, si verificarono nuovi combattimenti intensi nella zona di confine. Questi segnarono l'inizio delle operazioni tedesche per riconquistare la zona dell'Ossola, precedentemente liberata per 40 giorni dalle forze partigiane. Anche in questo caso, Brissago accolse centinaia di civili e partigiani. La storia di Brissago rimase associata come il primo luogo di salvezza lungo il tragitto della speranza per molti sfortunati.